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Spazio Zen - Luglio 2023

Gianni Zen
Gianni Zen
26 giugno 2023
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Spazio Zen - Luglio 2023
Siamo a luglio, periodo con agosto dedicato solitamente alle vacanze.
E, proprio perchè più liberi dai vincoli quotidiani dei giorni di lavoro, di scuola, di impegni vari, credo si sia più facilmente nelle condizioni di riflettere sui giovani e con i giovani di oggi. Meno cioè presi dall’ansia ordinaria, e perciò forse più disponibili a vedere in controluce, al di là degli stereotipi, la vita dei nostri ragazzi e dei nostri giovani.
Quanti ne incontriamo in vacanza, magari impegnati impegnati tutta l’estate in lavoretti vari, per mantenersi o per mettersi da parte un qualche gruzzoletto, buono per il nuovo anno! Guardandoli, questi nostri giovani è facile ricavarne l’impressione che sono nella gran parte meglio di come di solito vengono dipinti.
Sì, a volte vivono situazioni anche contraddittorie, ma sono le stesse che i loro genitori hanno vissuto.
E non è sempre vero il richiamo che noi adulti rivolgiamo a loro: “ai miei tempi”.
Perché ogni tempo ha le sue stagioni, le sue certezze ed insicurezze. E la grande gioia ma anche la grande fatica della vita è riuscire a trovare, per tutti, un qualche equilibrio.
Chiamiamola maturità, o esperienza, o saggezza, fatto sta che la vita stessa non si insegna, soprattutto non si insegna solo a parole. Ma lo si fa con la vita stessa, cioè con l’esempio, con la coerenza, anche con le fragilità e le contraddizioni.
Perché tutto è esperienza, e tutto può diventare segno di un qualche insegnamento. E si impara da tutti. Anzi, è bene ricordare e ricordarci che sempre impariamo da tutti.
A volte mi viene da pensare che i nostri figli sono, appunto, i nostri figli. Perché, senza tante parole, ci guardano comunque in controluce. Per carpire qualcosa di buono, ma anche un qualche senso del limite. Perché è il senso del limite che, in fondo, ci dà la misura della ricercata qualità del nostro quotidiano.
Partecipando, ad esempio, ad alcuni eventi culturalmente rilevanti, come il Festival dell’economia di Trento, o il salone del libro di Torino, ho visto gli incontri o gli stand pieni di giovani.
Soprattutto dei più giovani. E mi sono chiesto: che cosa stanno cercando questi nostri ragazzi?
E ho tentato una prima risposta: stanno cercando, vorrebbero cioè trovare punti di riferimento, punti di appoggio per un qualche futuro, per una speranza che dica come sarà la loro vita tra cinque, o dieci, o vent’anni.
Sentono cioè il bisogno di pensieri lunghi.
E non è vero che vivono un “carpe diem” oraziano male inteso, solo immersi nel presente, e nel puro divertissement, come avrebbe detto il grande Pascal. No, cercano pensieri lunghi.
Del resto, senza questi pensieri lunghi, corazzati da qualche idealità o valore, come fare a scegliere un percorso di vita, di studio, di lavoro, di affetto famigliare, di gusto delle relazioni, di senso anche della fatica?
In incontri sui temi del lavoro, della bellezza come bene della vita, sull’ambiente, sulle nuove tecnologie, sul valore delle persone in tutte le relazioni, compresa ovviamente la vita affettiva: ho visto tanti ragazzi interessati, competenti, con domande capaci di scuotere il torpore del mero apparire dei social. Del fru fru dei social, del brusio troppe volte senza senso.
Da dove nasce quel disagio che alcuni, legati tradizionalisticamente alla presunta età di un passato che non c’è mai stato, denunciano in ogni dove? Perché non è vero che “una volta si stava meglio”. Ogni stagione, invece, ha le sue contraddizioni.
Il disagio odierno nasce dal semplice fatto che i punti fermi oggi non ve ne sono: né in termini di identità personale, o di certezze valoriali e culturali, oppure lavorative o relazionali.
Oggi quei punti fermi, che costituivano il grosso delle famiglie, della scuola, delle parrocchie, della politica del passato, non essendo più fermi, vanno invece cercati, sperimentati, pensati, vissuti, provati. Sperando sempre che questo non avvenga in forma solitaria, ma sempre assieme. Perché non ci si salva mai da soli. Accompagnandosi e aiutandosi gli uni con gli altri. Cioè la grande fatica del vivere relazionale in un mondo centrato sull’io, sui meri desideri considerati automaticamente diritti. E’ il sottofondo generazionale, dunque, che è cambiato.
E non servono più certe polemiche vecchie, sulla presunta età dell’oro di un passato, lo ripeto, che non è mai esistito.
Già il grande Rousseau, con l’ipotesi dello “stato di natura” nel quale l’uomo era buono, bravo e bello, senza conflitti, aveva fatto intendere che non stava descrivendo una realtà, ma solo una ipotesi di massima per cercare di capire le fragilità, le ingiustizie, le conflittualità che noi ogni giorno sperimentiamo, epoca dopo epoca, stagione dopo stagione della storia umana.
Né basta richiamarsi al solo darwinismo sociale, per cui varrebbero, anche nella società umana, solo la selezione e la capacità di adattamento, come uniche e legittime leggi di vita.
No, siamo chiamati ad andare oltre il mero naturalismo animale. Per vivere da persone.
E “persona” con Pirandello può voler dire “maschera”, la quale si rivela e al tempo stesso si nasconde, ma può voler dire, biblicamente, anche “volto”, cioè reciproca “prossimità” gli uni verso gli altri. Che è il cuore di quella dimensione fraterna, non solo affettiva, che cerchiamo quasi disperatamente nella nostra vita. Ecco, oggi noi siamo chiamati a leggere i “segni dei nostri tempi”. Questo il loro pressante invito.
E solo lo spirito di ricerca, libero da pregiudizi, può aiutarci a non rimanere avvinghiati ai pregiudizi, vecchi e nuovi.
I giovani, pur nelle fragilità delle situazioni, vorrebbero cioè non avere paura delle sfide dell’oggi per il domani.
Per dialogare, dunque, con loro, come con i nostri figli, non dobbiamo avere la presunzione di in-segnare, ma solo di lasciare un segno, rispettando la loro domanda di libertà, nella speranza che poi si associ sempre alla respons-abilità, cioè alla abilità delle necessarie risposte.
Possiamo cioè comprenderli solo mettendoci alla pari, cioè nei loro panni.
Quanti di loro hanno girato il mondo, fatto esperienze nei posti più impensati, imparato da mondi diversi dai nostri!
A volte esagerano, strepitano nel vuoto, ma è lo stesso che abbiamo fatto noi adulti, i loro genitori. Perché c’è anche il diritto e il dovere di sbagliare, di provare, di tentare. Cioè di vivere appieno.
Il bello della vita, poi, è riuscire ad imparare dagli errori e dai limiti. Allargando il nostro sguardo, oltre gli inevitabili, a volte, pregiudizi.

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L'autore

Gianni Zen

Gianni Zen, laureato in filosofia, ha dedicato la sua vita professionale alla scuola, prima come docente e poi come dirigente scolastico in importanti scuole del vicentino quali l’Istituto Rossi di Vicenza e il Liceo Brocchi di Bassano. Sotto la sua guida il liceo bassanese ha conosciuto una crescita repentina fino a diventare il secondo istituto d’Italia per numero di ragazzi frequentanti. Persona estremamente attiva, è da sempre sostenitore di una grande riforma del mondo della scuola. In “Spazio Zen” dirà la sua su temi di attualità legati al mondo della scuola e del lavoro.