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Spazio Zen - Aprile 2023

Gianni Zen
Gianni Zen
28 marzo 2023
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Spazio Zen - Aprile 2023
Non riesco ancora, dopo tanti anni di insegnamento della storia e della filosofia, a darmi pace della guerra, della morte, delle morti di tanti giovani, come di tante donne, bambini e anziani. Perché la guerra oggi è totale, non risparmia nessuno.
Siamo nella settimana santa, con alcuni momenti centrali: il giovedì santo con l’ultima cena e la lavanda dei piedi, il venerdì con la croce, cioè Dio che muore, con la domenica di resurrezione.
Il calvario raccontato dal Vangelo, ma anche il calvario di tante nostre esistenze. Non solo a causa delle guerre, anche delle tante guerre di cui oggi non si parla.
A quando il sogno non solo kantiano della “pace perpetua”?
Centinaia di morti al giorno. Così una testimonianza di parte russa. Senza contare quelli di parte ucraina.
Si dirà, è una costante di tutte le guerre, purtroppo.
Ma questa constatazione non può chiudersi qui. Perché è la povera gente, alla fin fine, che muore. È la povera gente che emigra, che fugge da casa in cerca di una qualche salvezza umana. In un mondo globalizzato chi è ricco non ha ostacoli alla migrazione, solo i poveri, o quelli che sono disposti a vendere tutto per racimolare un po’ di dollari o di euro, rischiano tutto, anche la vita.
Quale valore possono avere le persone, quando sono considerati solo dei numeri?
Ecco, dunque, il punto centrale: le persone considerate delle cose, degli strumenti, delle macchine. Non riconosciute come un valore fondante di una società.
E finchè questo non avverrà, al di là delle differenze culturali, ideologiche, anche religiose, non ci potrà essere pace, cioè fraternità, solidarietà.
Del resto, lo ricordiamo tutti: “liberté, égalité, fraternité”, moto della repubblica francese del 1793, ha visto al dunque la fraternità velocemente convertirsi in “terrore” (rosso e poi bianco), con la ghigliottina come protagonista. Cioè la follia.
Insomma, la fraternità resta un ideale, un compito, una vocazione, e quella pace che invochiamo da un lato non può che essere frutto di impegno e di dialogo, ma dall’altro rimane un dono, cioè un passare-oltre tutti i particolarismi e le ideologie di conquista. Senza questo scatto ulteriore, non rimane che la grave e cinica constatazione, come disse Eraclito: “la guerra è madre di tutte le cose”. Dunque, rassegnarsi.
Ragionando invece assieme, e vedendo quello che è successo nel cuore dell’Europa, con l’invasione russa dell’Ucraina siamo stati tutti costretti a ristudiare la storia e la geopolitica. Per tentare di capirci qualcosa.
Abbiamo tutti riscoperto la geopolitica, che credevamo defunta con la globalizzazione, e con la geopolitica anche la storia, cioè la domanda sul senso del tempo, e sul senso delle nostre scelte, individuali e collettive.
Come intuì anche Thomas Mann, questo anniversario del 24 febbraio, a un anno dall’inizio dell’invasione russa, ci ha fatto capire chiaramente che “la guerra è apparentemente lontana, in realtà è dentro le cose”. E non possiamo accontentarci di vivere in pace, se la pace è come lo stagno della vita: perché di tanto in tanto ci vuole acqua fresca. Cosa voglia dire questa acqua fresca, basta seguire tante serie Netflix, o il chiacchiericcio sui social, o gli slogan che vanno e vengono dei politici protempore.
Nella nostra democrazia, ridotta a infocrazia, cioè a potere delle informazioni, la violenza anche oggi ha il sopravvento, in tante forme, hard o soft. Tanto da iniziare dalle parole che usiamo, troppe volte senza una ragione, un perché, un senso.
In tutto questo bailamme informazionale, dove le propagande hanno la meglio, stiamo assistendo, sullo sfondo, allo scontro tra la democrazia e le autocrazie, dove non vige il principio di persona, cioè la libertà personale. Per cui anche solo dire, come sta succedendo in sempre più Paesi, una piccola opinione diversa comporta il carcere. Con la Cina nuova protagonista globale nel nuovo bipolarismo con gli Usa.
Sullo sfondo rimane sempre il principio etico della legittima difesa. Quella che ci consente di dire che aiutare gli ucraini è un dovere. In un contesto geopolitico nel quale oggi le democrazie, pur poco partecipate dai nostri cittadini, in realtà per noi restano una priorità, una evidenza e una necessità imprescindibili. Anche se ce ne rendiamo conto quando vengono meno le sue garanzie.
Il valore della libertà che respiriamo, in altri termini, lo sentiamo per lo più quando viene meno questo respiro. Ce ne rendiamo cioè conto solo quando non c’è o scompare, non quando c’è.
Restano, dunque, due compiti da difendere a più non posso, che sono anche due invocazioni: il principio di persona, con la sua libertà come caposaldo del nostro vivere, e il limite della ragion di Stato, nascosto dietro a ideologie più o meno di moda. Lo Stato in democrazia non è tutto, non può tutto.
Ci sarà, prima o poi, un punto di rottura di questa escalation, cioè avverranno fatti che romperanno i muri di gomma di un dialogo che resta oggi un miraggio? Taceranno le armi, a un certo punto, e si darà spazio al senso di ragione? Con un punto di equilibrio che bypassi anche gli attuali autocrati e le nuove cortine di ferro?

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L'autore

Gianni Zen

Gianni Zen, laureato in filosofia, ha dedicato la sua vita professionale alla scuola, prima come docente e poi come dirigente scolastico in importanti scuole del vicentino quali l’Istituto Rossi di Vicenza e il Liceo Brocchi di Bassano. Sotto la sua guida il liceo bassanese ha conosciuto una crescita repentina fino a diventare il secondo istituto d’Italia per numero di ragazzi frequentanti. Persona estremamente attiva, è da sempre sostenitore di una grande riforma del mondo della scuola. In “Spazio Zen” dirà la sua su temi di attualità legati al mondo della scuola e del lavoro.