CULTURA

Spazio Zen - febbraio 2023

Gianni Zen
Gianni Zen
31 gennaio 2023
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Spazio Zen - febbraio 2023

Con la titolazione del ministero dell’istruzione, nel nuovo governo, al concetto di merito, la scuola è ritornata al centro delle discussioni pubbliche.
L’occasione ha prodotto una larga riflessione sul valore del modo di fare scuola oggi.
Ciò ha fatto dire ad alcuni, ad esempio, che le proposte formative odierne sono troppo preoccupate della “inclusività”, e meno della presunta qualità dei risultati di apprendimento. Di qui il richiamo al merito.
Altro modo per dire che la scuola di massa, dalla nuova scuola media del 1962 al boom della scuola superiore dagli anni settanta, ha o avrebbe finito per penalizzare la sostanza formativa, compresi gli ascensori sociali, della nostra società.
Da qui i risultati non eccellenti delle varie rilevazioni degli apprendimenti, Invalsi e OCSE-Pisa, e, al dunque, lo scarso numero di laureati, rispetto agli altri Paesi europei, e le continue preoccupazioni sui dati relativi alla dispersione e all’abbandono, soprattutto al sud.
Al di là delle singole opinioni, credo sia comunque buona cosa che l’occasione della titolazione del ministero al merito abbia permesso una verifica pubblica su cosa voglia dire formazione per un Paese che voglia avere un pensiero positivo sul proprio futuro.
Ma si è visto anche che non sempre è facile farla, questa verifica pubblica, senza prima liberarsi da alcuni stereotipi, i quali, a volte, riproducono troppo il mito del passato, quello dei “pochi ma buoni”, di un certo modo elitario di intendere la cultura.
Come sempre, invece, le cose si possono conoscere in concreto solo facendole, e confrontandosi e dialogando in modo mirato.
Per farmi capire uso tre verbi: accogliere, accompagnare, apprendere. Tre parole chiave che ben conosce chi si occupa dell'educazione dei giovani.
Perchè parole chiavi?
Perché senza disponibilità alla accoglienza dei bambini e ragazzi in quanto persone, prima del loro essere studenti in crescita, non ci può essere riconoscimento del loro essere. I ragazzi di oggi non si lasciano più ridurre, oggi più di ieri, a semplici imbonitori di nozioni senza un sottofondo di comprensione e di rielaborazione.
La scuola oggi, cioè, rispetto a quella da me frequentata negli anni sessanta e settanta, va vista come una comunità educante. Non solo legata alla dedizione del singolo docente, ma in quanto progetto educativo della scuola in se stessa. Vincolante per tutti.
Ma non basta accogliere. Educare e formare vuol dire accompagnare e far crescere, alla scoperta di sé e degli altri, e alle scelte fondamentali della vita. È lo sfondo educativo dell’atto formativo.
Nella scuola iperselettiva da me frequentata negli anni settanta questo sfondo non era di tutti i docenti. Perché prevaleva la logica darwiniana della selezione. Tant’è che erano pochi gli studenti alle superiori e all’università, e i tassi di bocciatura erano a due cifre.
Lo stare a scuola oggi, invece, fa intendere che si cresce assieme, si apprende insieme. L’abbiamo ben compreso, dopo l’esperienza, comunque utilissima, visto il contesto, della didattica a distanza. La quale deve rimanere una eccezione, ma non una regola.
Infine, resta il verbo apprendere. È la finalità del percorso scolastico inteso come percorso formativo, che dà forma alle personalità in crescita dei bambini e dei ragazzi, dei nostri giovani.
Gli studenti così, tutti, se accolti e accompagnati, diventano loro stessi protagonisti del loro apprendimento. E capaci di autovalutazione. Diventano cioè attivi, motivati, appassionati, secondo talenti e attitudini che saranno diverse per ciascuno. Ognuno secondo la propria parte, cioè una libertà che impara a farsi personale responsabilità, ma insieme.
“Non sono vasi da riempire ma fiaccole da accendere”, scriveva Plutarco.
Qual è, in poche parole, il lavoro del docente nello specifico, al di là delle sue competenze in questa o quella materia?
Favorire, come aveva insegnato il vecchio Socrate, ma come troviamo scritto anche nella parabola evangelica dei talenti, l'incontro tra i talenti e le motivazioni, compresa la fatica dello studio.
Prima degli spazi, degli ambienti, delle tecnologie, dei progetti sfavillanti.
Fanno, dunque, sempre pensare i dati sugli abbandoni, comunque troppi.
In poche parole, i ragazzi abbandonano quando questo connubio non c’è, non si realizza.
E quando non si realizza, come mi è capitato spesso, solo allora molti genitori comprendono il vero valore della scuola, e capiscono che non servono i voti alti ed i titoli di studio come pezzi di carta se la sostanza educativa e formativa non viene coltivata, giorno dopo giorno.
Questo il vero senso del merito.

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L'autore

Gianni Zen

Gianni Zen, laureato in filosofia, ha dedicato la sua vita professionale alla scuola, prima come docente e poi come dirigente scolastico in importanti scuole del vicentino quali l’Istituto Rossi di Vicenza e il Liceo Brocchi di Bassano. Sotto la sua guida il liceo bassanese ha conosciuto una crescita repentina fino a diventare il secondo istituto d’Italia per numero di ragazzi frequentanti. Persona estremamente attiva, è da sempre sostenitore di una grande riforma del mondo della scuola. In “Spazio Zen” dirà la sua su temi di attualità legati al mondo della scuola e del lavoro.