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Spazio Zen • 09/23

Gianni Zen
Gianni Zen
30 agosto 2023
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Spazio Zen • 09/23
Il mese di settembre, non solo per i bassanesi, coincide con la chiusura del convento dei cappuccini del Margnan.
Sappiamo che saranno comunque garantite alcune funzioni religiose (il giovedì e il sabato mattina) e la mensa per chi ne ha bisogno (nella vicina Casa San Francesco). Ma la decisione della chiusura resta.
Il saluto alla città dei frati è previsto per il giorno 3 ottobre alle ore 20.00 nella chiesa di San Francesco, alla presenza del vescovo di Vicenza mons. Giuliano Brugnotto e dei parroci del comprensorio.
La data del 3 ottobre ha un grande significato, perché ricorda il passaggio dalla vita terrena alla vita eterna del Santo di Assisi. Un altro modo per dire che i frati chiudono il convento, ma che rimarranno nei cuori dei bassanesi. E quindi presenti in altro modo.
Una scelta, quella della chiusura del convento, nota da mesi, ma che lascia ancora un po’ increduli. Perché il convento è parte, fa parte della loro storia. E rinunciare a loro significa rinunciare ad una parte di se stessi.
Segno ulteriore che, velocemente, è cambiata la vita non solo religiosa di questi nostri anni. E non solo perché non ci sono più vocazioni per tenere viva una realtà come il nostro convento.
Anche questa vicenda, cioè, riguarda la veloce evoluzione della nostra vita religiosa e sociale. Segno di un mondo, dicevo, che velocemente sta cambiando registro, sensibilità, tradizioni.
Si può vivere, insomma, così dice la mentalità odierna, anche senza Dio, senza il vangelo, senza uno stile di vita cristiano. E non basta più nemmeno il rimando al ruolo sociale del convento, come la mensa per le persone povere. Perché, è giusto che ce lo diciamo, non basta da sola la sensibilità sociale a giustificare il richiamo al suo fondamento religioso, al senso pieno della fede. Il quale oggi vive sempre meno delle forme tradizionali della storia passata.
E’ finito, cioè, un mondo.
Fra’ Alessandro Carollo, il responsabile dei frati, in modo garbato l’ha detto chiaramente: “siamo eredi di un dono, di una storia che è più grande di noi”. Storicamente, oggi, quello sfondo religioso del passato si è consumato. Evidentemente, lascia intendere, per esseri liberi di esprimersi in altre forme, sapendo dell’attuale contesto pluralistico, e del fatto che i cristiani praticanti sono una piccola minoranza, con il conseguente calo delle vocazioni e quindi del numero dei frati.
In altre parole, se in passato la presenza religiosa rifletteva tutta la società, oggi invece rappresenta una minoranza. E non basta una bella memoria per immaginare ancora queste forme di presenza.
Ad esempio, mancando i frati, non dovrà mancare anche il servizio di carità attraverso la mensa per i poveri. Il problema riguarda la comune responsabilità, come comunità civile, di esprimere una solidarietà che non può più essere appaltata, se posso così esprimermi, ad un ordine religioso, quali una supplenza obbligata. Per diventare invece, dicevo, una responsabilità civile di tutta una comunità, anzitutto attraverso le sue istituzioni, oltre alle sempre preziose forme di volontariato.
Ricordo da giovane, nelle feste principali, quell’”andiamo a confessarci dai frati”, forse per scaricare certe magagne, ma prima ancora per sentire una buona parola, un piccolo segno di vita vera.
Il problema, giusto ripeterlo, andando più a fondo, non si può dunque limitare alla storia del convento dei cappuccini.
Ma riguarda il lento ed inesorabile affievolirsi del senso religioso, il quale non si può accontentare del brusio della memoria passata. Non fa più presa, in altre parole, in questo nostro tempo la convinzione di un grande russo: “Vivere senza Dio è un rompicapo e un tormento. L'uomo non può vivere senza inginocchiarsi davanti a qualcosa. Se l'uomo rifiuta Dio, si inginocchia davanti ad un idolo”.
Facciamo cioè fatica oggi a capire cosa voglia dire Dostoevskij.
Mentre siamo capaci di cogliere alcuni positivi segni del tempo.
Penso, sempre per il bassanese, alla chiusura di qualche anno fa di Villa San Giuseppe, curata dai gesuiti, e per decenni riferimento di tanti. Ed oggi rinata sotto nuove vesti, anche se in un contesto che definirei laico.
Lo stesso si fa fatica a dire dei patronati, oratori, luoghi parrocchiali.
Insomma, il valore del sacro, il suo sfondo religioso, la sua funzione educativa, l’idea di una fede che non sia solo retaggio del passato: tutto oggi interroga chi voglia vedere i segni dei tempi odierni. Basta dare un’occhiata all’età media di chi va a messa, per le poche messe oggi celebrate, visti i pochi preti che devono correre in più parrocchie.
Solo i funerali resistono, ma battesimi, cresime e matrimoni oramai sono una rarità.
In poche parole, lo ripeto, è finita una fase della nostra storia, quella che gli studiosi hanno definito “cristianità”, per la sovrapposizione quasi automatica tra religione e società, e religione e politica. 
Quindi, oggi non stiamo vivendo la fine della presenza cristiana, ma di un suo modello storico, in questo caso “costantiniano“. 
La fine di questa presenza provoca malinconia e nostalgia di un tempo che fu? 
Sono sentimenti positivi, ma non si vive con il solo sguardo rivolto al passato. Si tratta, già oggi, di rendersi conto che un certo mondo è finito. Allora la vera domanda sarà: come potrà rivivere una fede evangelica in mondo tutto diverso?
Per capire questo modello, nella sua ultima fase, basterebbe rileggere un libro poco conosciuto di don Lorenzo Milani, “Esperienze pastorali”, del 1958. Cioè di poco anteriore al Concilio Vaticano II, del 1962, con Papa Giovanni.
Il Vaticano II intuì che la via della salvezza della fede cristiana non poteva essere che la “scelta religiosa”, pensata e vissuta secondo il filtro del “metodo della libertà”. Una svolta coraggiosa, radicale, “segno di contraddizione” anche nei confronti di ogni potere politico, economico, tecnologico, geopolitico.
Una fede pensata, dunque, scelta, maturata, personale. Ma da vivere in uno stile comunitario, aperto, accogliente, non ideologico.
Per questo motivo, penso che la chiusura prima di Villa San Giuseppe dei gesuiti, e ora del convento dei cappuccini, debbano insegnarci a capire ciò che la storia di oggi ci sta chiedendo: non una fede come abitudine o tradizione, ma una fede come scelta, come incontro, come apertura, come sensibilità, come pensiero aperto. Come moto del cuore, mi verrebbe da aggiungere, il quale non vive solo di apparire e dei suoi miti moderni.
Allora anche questa chiusura del convento, segno dei tempi, può diventare, per chi crede, uno sprone a ripensare la stagione di vita che stiamo vivendo.
Se, in altri termini, oggi è il tempo della fine della cristianità, come suo aspetto positivo questo è il tempo della riscoperta dell’ispirazione evangelica.
Vedremo, ora, se questa potrà portare anche alla rinascita di una nuova presenza, sotto nuove forme, di realtà come il convento dei cappuccini.
Del resto, chi crede sa che la fede rimane sempre non una conquista, ma un dono. E il donarsi dei frati cappuccini potrà rinascere in altre forme, ma sempre come segno di quel reciproco esserci che è quella fraternità evangelica di cui tutti sentiamo il bisogno. Oltre le maschere del nostro tempo.

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L'autore

Gianni Zen

Gianni Zen, laureato in filosofia, ha dedicato la sua vita professionale alla scuola, prima come docente e poi come dirigente scolastico in importanti scuole del vicentino quali l’Istituto Rossi di Vicenza e il Liceo Brocchi di Bassano. Sotto la sua guida il liceo bassanese ha conosciuto una crescita repentina fino a diventare il secondo istituto d’Italia per numero di ragazzi frequentanti. Persona estremamente attiva, è da sempre sostenitore di una grande riforma del mondo della scuola. In “Spazio Zen” dirà la sua su temi di attualità legati al mondo della scuola e del lavoro.