Sapete che nelle Venezie abbiamo 1/6 dell’intero patrimonio artistico mondiale?
Ebbene sì. I principali stili artistici propriamente Veneti, obbligatoriamente indicati in tutti i manuali d’Arte, e universalmente definiti come autoctoni, sono 7: il Gotico Veneziano (XIII Sec.), la Pittura Tonale Veneta (XIV-XV Sec.), l’Architettura Palladiana (XVI Sec.), il Barocco Veneziano (XVI Sec.), il Vedutismo o “Venetian Painters” (XVII Sec.), il Neoclassicismo Canoviano (XVIII Sec) e il Romanticismo Storico Hayeziano (XIX Sec.). Credetemi, nessun popolo al mondo ha una tale fortuna... e noi, come al solito, ovviamente, manco lo sappiamo. Ma perché la Repubblica Veneta dal 1400 al 1800 è stata così prolifica di Arte e Cultura? E perché non è successo in Francia, Inghilterra o Spagna? La risposta è semplice. Mentre in quei Paesi si consolidavano le grandi Monarchie Nazionali (i contemporanei Stati Europei) che investivano in cannoni, corazze e fucili, la Repubblica Veneta - assieme agli altri 4 Stati Italici - spendeva una buona parte del suo P.I.L. in pennelli, scalpelli e strumenti musicali. Dalla fine del Medioevo infatti, per tutto il Rinascimento, e fino a metà del 1800, l’unica Italia riconosciuta - un po’ come l’Europa di adesso - era quella “geografica”, cioè un gran bel pezzo di terra in cui convivevano 5 Stati Nazionali (grandi come la Svizzera, il Belgio o la Croazia), e ognuno di loro era fortemente caratterizzato da una Lingua, una Cultura e... un’Arte ben definita.
Nelle cosiddette “Scuole artistiche” di Venezia, Milano, Firenze, Roma e Napoli, pittori, scultori, architetti, e musicisti, amati e apprezzati proprio per le loro diversità, erano corteggiati, e persino contesi, come le odierne rockstar, dalle aristocrazie di tutta Europa. (Youtube: Cea Venetia - E Grandi Personaità Venete da el 1300 a el 1800).
Poi da metà 1800, con l’arrivo dei Savoia, si seguì alla lettera il famoso detto del “prendi l’arte e mettila da parte” e così, anche nel novello Stato del Regno d’Italia, il P.I.L. venne subito usato per finanziare le due disastrose Guerre Mondiali.
Ci stavo pensando giusto l’altro giorno tornando in treno da un’esposizione d’Arte Moderna a Venezia. Ero andato con Laura, una promettente pittrice vicentina, amica dei tempi in cui frequentavo la facoltà di Conservazione dei Beni Culturali.
“Guarda di non provarti a prendere sonno!” Mi ha minacciato Laura sul treno per Bassano. “Me l’hai già fatta una volta anni fà. Sei una vergogna!”
Credetemi, la volontà di stare sveglio è stata tanta ma, tra la mezza imbriagatura artistica della giornata e il rumore ipnotico del treno sui binari, senza accorgermi all’altezza di Silea chiudo gli occhi un istante e immancabilmente prendo sonno. All’improvviso mi arriva una gomitata alle costole.
“E allora Zonta!” Mi fa lei. “Ma sei scemo?”
Mi ripiglio all’istante e torno subito a chiacchierare d’arte ma, appena passano dieci minuti, sento di nuovo le palpebre che si abbassano.
“Dai Laura.” Le dico implorante. “Chiudo gli occhi un attimo. Ti giuro. Solo cinque minuti.”
“Dormi dormi.” Mi risponde lei seccata. “Insemenio.”
Mentre Laura gira la testa verso il finestrino la mia mente velocemente si annebbia e, in un lampo, entro nel mondo dei sogni. “Biglietti prego.” Sento dire a una decina di metri dalla mia poltrona. Faccio per cercare il biglietto in tasca quando sento un “qualcosa” che mi si appoggia appena sopra il labbro. Con gli occhi ancora chiusi penso a una mosca e la scaccio via con la mano. “Biietto bocia! O gheto o no?”
Ecco che mi trovo davanti Antenore, il mio solito spirito guida Troiano, vestito da controllore delle Fs. “Anche tu qua!” Dico sorridendo mentre, per un attimo, sento di nuovo qualcosa che si appoggia sulla guancia.
“So co i me amighi artisti.” Mi risponde. “Semo ndai a far un giro pa Venesia ma xe tuto el dì che i se rogna tra de lori. Ognuno dixe che xe sta pì bravo de chealtri.”
Alla mia destra c’è una combriccola che mi guarda ridendo. Il primo che parla sogghignando è Tiziano, il famoso pittore del Cadore. “Xe inutie che i parle sti qua! Mi go fato pì quadri de nesun altro al mondo. E nesuni ga venduo quanto mi. Mamamia quanti schei che go fato sti ani!”
“Ecoeo!” Fa Andrea Palladio. “Sto qua xe ncora drio a parlar de schei! Invese de dir monade seto quante ville e palassi go fato mi? Na infinità! E 47 i xe parsin considerai Patrimonio Mondiae de l’Unesco. E pò, se no bastase, go anca scrito i quatro pì famosi libri de Architetura al Mondo. Vara ti!
“Bravi! Bravi!” Sento dire da un cappellone, tipo Caparezza, con addosso la cuffia da Dj. È Antonio Vivaldi, il celebre compositore barocco. “Voialtri sì veci! Mi invese, cari mii, so un evergreen su Spotify! Go quasi 7 milioni de ascoltatori... mensili!”
“Sarà ma intanto mi go creà a Scultura Neoclassica.” Dice ora Antonio Canova, il celebre artista di Possagno. “Dove trovè dee opere bee come e mie! E po tosi, se no xera par mi... col cavoeo che tornava indrio tante robe che ne gaveva ciavà Napoleone nel ‘97.”
“Eh sti artisti italiani Tutti prime donne eh?!” Mentre lo dico tutto orgoglioso, i quattro si zittiscono e mi guardano male. “L’ha scritto anche il Vasari ne Le Vite che...”
“Pian co i sassi Zonta! Che qua semo tuti Veneti eh?” Mi sgrida Tiziano. “Che no te scominsi anca ti co e monade! Che mi Michelangelo e Leonardo i conosevo, ma lori i xera dello Stato della Repubblica Fiorentina. E Raffaelo, el toso de Urbino, morto xovane poro can, xera sudito de el Stato dea Chiesa. Par mi i xe tuti coeghi... ma ognuno xe paron a casa sua!”
“Te ghe tocà un tasto dolente Zonta caro!” Mi dice Antenore. “Qua i xe tuti rabiai parchè i dixe che no se rispeta pì el copyright, el dirito d’autore. Che co l’Arte i libri Taliani de deso i fa tuto un mis-cioto.”
Mentre lo ascolto - continuamente infastidito dal prurito sulla faccia - sento una mano che si appoggia alla mia spalla. “Masa comodo ciò!” Mi fa un spilungone col tricorno in testa: è Carlo Goldoni, inventore della Commedia dell’Arte e delle maschere del Carnevale. “Ti te fe i laori, e lori (i testi italiani) i ghe mete su a so bea bandiereta, anca se i no i c’entra gnente e i xe rivai dopo de 500 ani”. Poi con un sorriso ironico mi fa ridendo. “E no star darghe reta a sti quatro mone.” Dice puntando il bastone agli amici artisti che mi guardano sghignazzando. “Ma anca ti no te schersi eh! Se dovese inventarme na maschera par ti Zonta sicuramente te ciamaria “el Pampaon”. Si “Pampaon” te staria proprio ben.”
Mentre mi spunta in testa un enorme punto di domanda, arriva un uomo vestito di nero: è Giorgio Vasari, il grande storico dell’Arte del Rinascimento, autore nel 1550 di “Le vite dé più eccellenti pittori, scultori e architettori.”
“Prima mi hai nominato... ma io non ho mica scritto le biografie di artisti “italiani”. Nel mio primo libro, dedicato alla Repubblica di Firenze, c’erano solo toscani. Solo in quelli dopo ho messo anche gli artisti degli altri Stati, come quello di Napoli e di Sicilia, del Papa e non solo. Ho scritto anche di Johannes Stephan Van Calcar che era un pittore fiammingo.”
Arrivati a Bassano gli artisti, seguiti da Antenore, mi salutano con la mano ridendo come matti e, un attimo dopo mi arriva una seconda gomitata alle costole. “Siamo arrivati! Svegliati!”
“Scusa” Dico a Laura appena apro gli occhi. “Non pensavo di dormire tanto.”
Mentre prendo lo zainetto dalla cappelliera mi accorgo che le persone sedute di fronte mi guardano con un’espressione allegra e che poi, una volta sceso dal treno, passando per le vie del centro, una ragazza mi passa di fianco e mi sorride. “Hai visto la tipa come mi ha guardato?”
“Fai colpo!” Mi fa Laura. “Sei proprio figo oggi!”
Dopo un’oretta di chiacchiere e di “strani sorrisi foresti” mi separo dalla mia amica e, con l’autostima a mille, me ne torno a casa. Ma ecco che, appena apro la porta, mi arriva un scintillante venetissimo: “Ah poro mona! Ma te sito visto ao specio?”
In un attimo corro in bagno e, quando vedo riflessa la mia faccia, mi scappa subito da ridere. Laura, mentre dormivo in treno, mi aveva pitturato sul viso un bel paio di baffoni alla Stalin. A farmi prurito in faccia durante tutto il tragitto era stata lei con la punta del pennarello. Ecco perché tutti ridevano! La chiamo subito al cellulare sghignazzando: “Brava! Mi sta bene! Sò proprio un pampalon!”
“Sei stato un’ispirazione!” Mi fa lei ridendo. “E in tuo onore ho deciso di inaugurare una nuova corrente artistica veneta. L’ho chiamata Scantabauchescion Modern Art.”
P.S. Ma sapete cosa?
Al di là di questa storietta personale, mi sa che qua di “pampalon” non ci sono solo io... ma un po’ tutti noi Veneti. E questo, non solo perché siamo totalmente all’oscuro della nostra millenaria tradizione Artistica, ma soprattutto perché da centosessanta anni permettiamo ai media italiani di “dipingerci”, nei suoi bei filmeti, sempre come un popolo di “stupidoti ignoranti”. La mia domanda è: ma col bagaglio artistico che abbiamo alle spalle ce lo meritiamo davvero di farne continuamente ridare drio come gli eterni esponenti del... scantabauchescion modern art?