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Giovanni Andrea Zanon

Anna Zaccaria
Anna Zaccaria
28 giugno 2024
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Giovanni Andrea Zanon

Intervista a cura di Anna Zaccaria

Andrea Giovanni Zanon è un talento mondiale del violino. Ha solo 26 anni ed è di Castelfranco Veneto. All’età di 4 anni è stato ammesso al Conservatorio Pollini di Padova diventando così il più giovane ammesso nella storia delle istituzioni musicali statali. Ha esordito giovanissimo all’Arena di Verona, presso il Teatro alla Scala di Milano e tiene innumerevoli concerti nei teatri più importanti del mondo. Nel 2022 è stato fra i protagonisti della cerimonia di chiusura dei Giochi olimpici invernali suonando in mondovisione uno Stradivari. Il 13 luglio suonerà a Bassano del Grappa in un concerto di Operaestate. 

Giovanni Andrea Zanon è una persona speciale non solo mentre suona il violino. È simpatico, divertente, umile, consapevole che un grande talento ha bisogno di tantissima disciplina studio e dedizione. In più è un ragazzo di grande eleganza, tanto da essere scelto come testimonial dal grandissimo Giorgio Armani.

A lui abbiamo dedicato le copertine di OCCHI di questo mese e la cover interview.


Nella tua biografia si legge che hai iniziato a suonare il violino a 2 anni. Come è stato possibile?

La musica era già in casa perché mia sorella, che ha qualche anno in più, suonava il violino. Io, vedendo lei suonare, desideravo questo oggetto misterioso, questo giocattolo. Per porre fine ai litigi, perché ovviamente io cercavo sempre di rubarle il suo, i miei genitori mi hanno fatto costruire un violino su misura piccolino e così ho iniziato.

A 4 anni sei stato ammesso al conservatorio Pollini di Padova e sei il più giovane ammesso nella storia delle istituzioni musicali statali. Come hai fatto a studiare così giovane?

La musica è un linguaggio che usa le note al posto delle parole, ma è comunque un linguaggio. Io ho avuto la fortuna di iniziare ad approcciarmi a questo linguaggio quando ero molto piccolo e questo me lo ha reso molto familiare fin da subito. I bambini hanno un’elasticità mentale incredibile e questo ha facilitato molto l’apprendimento del linguaggio della musica e questo è stato fondamentale per lo studio degli anni successivi.

Sei riuscito a scoprire il tuo talento veramente molto presto...

il talento secondo me è una cosa molto più comune di quello che si pensa, nel senso che tutti noi abbiamo dei talenti. Effettivamente la cosa difficile e rara è scoprire quel talento in tempo. Perchè il talento si nutra e cresca è necessario però che si verifichino tutta una serie di situazioni speciali: io ho avuto la fortuna di avere mia sorella che suonava, mia mamma che mi è stata molto vicino, mi accompagnava e mi supportava moltissimo. Il talento è stato scoperto presto e poi una serie di situazioni hanno permesso la sua evoluzione.

Che ricordi hai degli anni in conservatorio piccolissimo?

Pochi, a dire la verità. Ricordo però con più precisione i viaggi che facevo con mia sorella e mia mamma, mi sembravano delle avventure, erano delle occasioni per divertirmi: nei treni giocavamo a nascondino. In conservatorio io e lei cercavamo ovviamente i ragazzi più giovani, più vicini alla nostra età per divertirci. Ho vissuto i primi anni come una sorta di gioco, una sfida. Ho rimosso la parte delle lezioni non di violino perché, quelle sì, sono state pesanti, non erano e non sono fatte per un bambino piccolo; sono riuscito a superarle anche grazie all’aiuto dei miei genitori che mi sono stati dietro molto facendomi continuare questo percorso nonostante l’età non fosse l’ideale per farlo. Con le lezioni di violino invece me la cavavo bene.


Mai avuto un momento in cui ti ricordi di aver detto “non ce la faccio” ?

A dire la verità non ho mai avuto la possibilità di farlo. Sono sempre stato inserito in un contesto che spingeva moltissimo: gli insegnanti mi stavano sotto, i concorsi si susseguivano uno dopo l’altro, ne finivo uno c’era subito quello successivo, ero inserito in un vortice che non mi dava la possibilità di fermarmi e dire basta, non c’ho voglia. Magari ci provavo anche, però sapevo che il giorno dopo avevo lezione, non potevo essere impreparato e quindi dovevo studiare. C’era tutto un contorno intorno a me che spingeva a tal punto che non mi permetteva di fare una scelta… I primi anni sono stati un po’ così. All’inizio era più un gioco, non era facile far studiare un bambino di due, tre, quattro anni, quindi si creava la sfida. I miei genitori mi facevano dei regali per un brano imparato o per un livello nuovo raggiunto, spesso erano degli animali da giardino come oche e anatre. Ad un certo punto ne avevamo quasi 100.

Ti sentivi un ragazzo diverso?

No, no, non ho mai avuto questa percezione. Per me i diversi erano quelli che a scuola alle elementari o medie non suonavano perché per me era la quotidianità avere uno strumento in casa. Poi verso la fine delle medie e i primi anni delle superiori si è sentita questa diversità: vedevo i miei compagni fare delle esperienze che io non potevo fare, anche solo uscire con gli amici il sabato sera, oppure avere delle esperienze sociali che sarebbero molto importanti per lo sviluppo di un ragazzo. Poi ovviamente la vita te le ripresenta queste occasioni. Tutto questo però è stato necessario per concentrarmi completamente sulla musica e ha avuto comunque un senso, è stato pesante, però ha avuto un suo senso.

Come sei riuscito conciliare il violino e la scuola?

Io ho fatto i primi due anni di superiori in Italia, poi mi sono spostato a New York per due anni. Ho cercato un liceo italiano liceo Marconi molto buono, ma preso dalla formazione musicale non sono riuscito a frequentare, ho dovuto annullare l’anno e quando sono ritornato in Italia ho fatto la maturità in Italia.



Amici?
Avere amici è molto molto difficile perché l’amicizia richiede costanza. Dai 15 ai 18 anni per corsi di formazione e concerti mi sono mosso tantissimo: in Svizzera, in Russia, a new York, in Canada, è stato impossibile avere la costanza nella presenza che l’amicizia esige soprattutto da giovani.
Qual è stato il momento in cui ti sei sentito più emozionato?
È difficile sceglierne uno. Devo dire la verità, ho avuto una vita molto entusiasmante, ho avuto delle esperienze molto belle, sia dal punto di vista umano che dal punto di vista artistico e professionale. Sceglierne una è difficile. Sicuramente fra le più care vi è la mia prima volta alla Scala che è un tempio sacro per la musica nel mondo e per me italiano è stata un’emozione fortissima. Ma anche il concerto all’Arena di Verona in diretta Rai quando avevo 15 anni. Poi ci sono emozioni fortissime provate in concerti meno importanti professionalmente parlando ma che hanno lasciato il segno perché mi hanno fatto capire la potenza della musica, mi hanno fatto capire quanto poche note una dietro l’altra possano trasmettere emozioni. Un episodio particolare è successo qualche anno fa. Stavo suonando il concerto di Beethoven e io raramente quando suono guardo il pubblico. In quell’occasione non so perché, ho buttato lo sguardo sulle prime file mentre suonavo il secondo tempo, che è un brano meraviglioso, celestiale. Con lo sguardo ho notato questa signora in 4ª o 5ª fila che reggeva una foto in bianco e nero e nel frattempo piangeva… in quel momento ho sentito una connessione con lei, e mi sono commosso anch’io. Alla fine del concerto a tutti i costi ho chiesto alla mia agente di rintracciarla e di portarla in camerino. Dopo i soliti convenevoli le ho chiesto il perché si fosse creato quel momento e lei mi ha detto “Guarda, io ho conosciuto mio marito tantissimi anni fa ad un concerto dove un violinista suonava il concerto di Beethoven. Ora mio marito non c’è più, ma grazie alle tue note ho avuto la possibilità di abbracciare un’altra volta quell’emozione”. Questo fa capire quanto delle semplici note, che magari in una registrazione non dicono nulla, ascoltate dal vivo in teatro, in una situazione particolare con un violinista davanti, con il pubblico attorno, possono creare momenti magici. E a me solo la musica ha regalato questa magia.


Qual è il tuo compositore preferito?
Altra domanda difficile… Secondo me varia tantissimo a seconda del momento e dalla fase della vita. Adesso a 26 anni sono in un momento di vita in cui sento più vicino il periodo del romanticismo perché è il periodo in cui le emozioni e i sentimenti la fanno da padrone. Ecco quindi Brahms e Čajkovskij. Probabilmente se mi faranno la stessa domanda tra 15 /20 anni, la risposta sarà diversa perché sarò in un periodo di vita diverso ma è anche questa la cosa bella della musica che offre una quantità e una varietà di emozioni, di possibilità infinite, per cui c’è sempre qualcosa da scoprire, c’è sempre un qualcosa di nuovo.
Cosa ti piace del tuo lavoro e cosa invece non ami
Una cosa che non amo è la disciplina e lo studio che sono richiesti e sono ferrei … studiare non è bello. In alcune interviste spesso si dice che lo studio è il momento meraviglioso di apprendimento … no no alzarsi ogni mattina con il jet lag, stanchi dal concerto del giorno prima magari con il mal di testa e sapere di dover ricominciare da capo con le scale, gli arpeggi, per cercare di migliorare sempre di più, è una cosa alienante. Non c’è nulla di musicale nello studio, non c’è nulla di artistico. Si prendono i punti difficili, si ripetono centinaia di volte fino a che l’automatismo riesce veramente ad entrare nei muscoli. Per fare il musicista ad alto livello è necessaria una disciplina rigorosa anche nello stile di vita e questo è per tutta la vita.
Ciò che amo sono le emozioni che suonare sul palcoscenico mi dà, quei momenti sono indescrivibili, non si possono raccontare a parole. 
Quando sono andato a New York ho avuto la fortuna di studiare con Pinchas Zukerman leggenda della musica classica che è il mio mentore, anche lui a 76 anni ogni mattina si sveglia, fa scale con il violino, studia e mantiene allenate le proprie mani e braccia. È capitato che mi chiamasse tutto emozionato da New York per condividere con me il fatto di aver scoperto una nuova diteggiatura ossia un modo nuovo per impostare le mani per eseguire un brano che conosce da oltre 50 anni. La musica è un viaggio molto lungo che permette di non stancarsi mai, di non annoiarsi mai, di avere sempre nuovi stimoli, di suonare con musicisti diversi, per cui è un qualcosa veramente di speciale.
Cosa si può fare per far amare di più la musica classica alle nuove generazioni?
Io sono convinto che la distanza di cui spesso si parla tra i giovani e la musica classica non sia dovuta ad una mancanza di interesse, ma semplicemente ad un errato modo di proporla. I giovani non conoscono la musica classica, non sono mai stati in teatro. Come dicevo prima la musica classica è un linguaggio, se la proponi ad un pubblico non preparato è come far sentire una discussione in russo ad una persona che non parla russo e che non ha mai sentito il russo, è ovvio che sente una barriera. C’è una distanza tra i giovani e la musica classica dovuta ad una mancata istruzione a scuola. I teatri italiani hanno un modo errato di proporsi ai giovani. Io sono direttore artistico di un festival ad Arezzo dove invito i migliori giovani musicisti under 35 del mondo. Facciamo i concerti, ma prima di ogni concerto andiamo nelle scuole con i nostri strumenti e suoniamo davanti ai ragazzi, spieghiamo come approcciarsi alla musica, gli facciamo sentire alcune frasi e loro rimangono a bocca aperta. 
In quei giorni il teatro di Arezzo è pieno di giovani che vengono di loro spontanea volontà e alla fine ci scrivono messaggi meravigliosi in cui traspare l‘emozione per aver scoperto la potenza della musica classica. Ma l’ascolto di questa musica richiede attenzione, la stessa predisposizione d’animo che abbiamo entrando in un museo per ammirare un’opera d’arte: occorre ascoltare con attenzione e rispetto. Purtroppo la soglia di attenzione dei giovani si sta abbassando sempre più: con tic toc i video durano al massimo 15/20 secondi poi si passa ad un altro video Fatte queste premesse è naturale che un ragazzo non riesca ad ascoltare adeguatamente un concerto di un’ora e mezza. 
A Bassano ti ascolteremo nel primo appuntamento dedicato ai giovani talenti della musica classica assieme a Martina Consonni. Che concerto sarà?
Sarà un concerto con alcuni capolavori della musica cameristica che alternerà brani di musica classica più complessi a brani di musica classica più virtuosistica. Vogliamo presentare un’offerta molto varia e diversificata così che il pubblico possa fare esperienza di una vasta gamma di emozioni durante il concerto.


Quali sono gli altri impegni dell’estate?
L’estate sarà bella intensa, sto lavorando da tantissimi mesi alla realizzazione di un progetto che rappresenta la concretizzazione di un sogno. Il 28 agosto porterò in scena lo spettacolo VIva Vivaldi di cui sono direttore artistico e violino solista accompagnato dall’orchestra dell’Arena di Verona. Sarà un concerto di musica classica con le Quattro Stagioni di Antonio Vivaldi estremamente innovativo. È un po’ un salto nel vuoto, perché è una cosa che non è mai stata fatta nel nostro mondo. Vogliamo portare in Teatro 10.000 giovani che non hanno mai sentito musica classica e farli andare via dicendo “Che capolavoro abbiamo appena sentito!”. Per fare questo abbiamo pensato a questo spettacolo molto immersivo che ho creato insieme al più grande studio di live entertainment al mondo e che è di Milano, la Balich Wonder Studio.
La genesi dello spettacolo parte dalla cerimonia di chiusura delle olimpiadi di Pechino, in quella occasione ho conosciuto il direttore e abbiamo cominciato a pensare ad uno spettacolo di musica classica innovativo che utilizzasse la tecnologia più moderna con ologrammi in 3D ed effetti visivi e sonori di altissima qualità.
Verranno promoter da tutto il mondo perché stiamo già pensando a un tour mondiale il prossimo anno. Lo spettacolo potrà essere riprodotto anche nei teatri più piccoli e l’Arena sarà solo il punto di partenza!
Non vedo l’ora che tutto questo diventi realtà!

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L'autore

Anna Zaccaria

Mille cose da fare ma non si tira mai indietro, troppo buona ma con grinta da vendere. Amante dei numeri, Anna è una vera esperta delle logiche e stratega del web marketing. Ha maturato una lunga esperienza nella gestione di progetti complessi di comunicazione digitale, mirando sempre alla concretezza e ai risultati.