Appena tre settimane di scuola, e già si comprende che, in tutte le case, c’è un profumo di vita diverso.
Le ripartenze, si sa, più nei bambini ma anche negli adolescenti, portano energia.
Chiedendo ad alcuni di loro cosa ne pensano del ritorno a scuola, ho visto brillare i loro occhi.
Anche se in qualcuno il carico dell’impegno scolastico ha fatto storcere il naso.
Comunque, tutto come da copione.
L’aspetto decisamente positivo è il fatto di avere ritrovato gli amici. Con le giornate che sono tornate a correre.
Giusto augurare a loro, e ai loro genitori, tutta la gioia che si meritano.
La scuola italiana quest’anno però è ripartita anche con qualche novità.
Soprattutto il divieto dell’uso dei cellulari, sino a ieri disciplinato nei regolamenti di istituto, da oggi invece vietato a prescindere dal loro possibile, per gli studenti delle superiori, uso didattico ed educativo.
Se ne discuterà a lungo su questo divieto assoluto.
Anzi si sta già discutendo, da parte delle scuole (raccogliere i cellulari in contenitori o farli tenere negli zaini, perché oggetti di uso personale) e da parte degli studenti (durante la ricreazione è possibile darci un’occhiata?).
Come era in passato la situazione? A dire il vero, non è che sino a ieri i cellulari in classe fossero consentiti, ma potevano essere utilizzati all’interno di specifici progetti o sperimentazioni, come strumenti didattici personali.
Nelle scuole medie, ad esempio, era già consuetudine consegnarli all’inizio delle lezioni. Mentre alle superiori, dovevano essere tenuti nello zainetto.
Ovvio che, come spiega un immancabile sondaggio, ben tre genitori su quattro si dicono soddisfatti di questa sterzata del ministro. Perché è il clima generale che, mi verrebbe da dire, impone questo rigore. Perché tutti ci rendiamo conto del problema, cioè del fatto che, in media, gli adolescenti usano questi aggeggi per almeno quattro ore e mezza al giorno.
Dunque, il diktat tutto negativo sui cellulari è un po’ il mantra di questi tempi.
Solo per i ragazzi e gli adolescenti?
Il tema del cellulare, ce lo ripetiamo spesso, è una questione spinosa. Pensiamo alle difficoltà relazionali, a quelle sulla concentrazione, alle mille distrazioni.
Ma la questione è di tutti, non solo degli adolescenti. Tra l’altro, generazioni nate con la tecnologia già in mano. Tanto che mi è capitato di assistere a nonni che hanno scelto di regalare ai nipoti, seppur piccoli, un cellulare, invece di un gioco o di un libro.
A scuola, poi, mi sono capitate situazioni con ragazzi in possesso di due cellulari, e con bambini che ce l’avevano addirittura alle elementari. E così via.
Sarebbe importante affrontare tra genitori la domanda a questo punto inevitabile: a che età regalarlo ai figli? Dopo gli 11 anni, oppure dopo i 13? Le opinioni si sa, sono diverse.
Segno di difficoltà di approccio che, ce ne rendiamo conto, non possono risolversi solo col divieto scolastico.
Perché sarebbe come nascondere la polvere sotto il tappeto.
La palla, cioè la vera discussione, va ributtata sull’intero campo sociale, senza lasciare sole le stesse famiglie a gestire questa complessità. E chi, se non la scuola, ha il compito istituzionale di cercare delle possibili soluzioni? Sono sì o no questioni formativo-educative?
Perché la vera sfida, non solo per i ragazzi ed i giovani, ma in primis per tutti gli adulti, non è vietare uno strumento, ma aiutare a comprenderne valori e limiti. Cioè imparare a governarlo, e non a lasciarsi governare.
Insomma, i cellulari a scuola, prima del diktat del governo, già erano vietati, come utilizzo in classe. Fatte salve, in particolare alle superiori, alcune specifiche occasioni, previste e coordinate dai docenti.
Il cellulare, cioè, non è il diavolo, il nemico, l’avversario, ma solo lo specchio della società nella quale ci troviamo a vivere. E’ solo uno strumento, come molti altri.
Di suo è uno specchio, oramai e purtroppo, il principale interfaccia delle nostre relazioni. Ma non è la radice del problema.
Come, quindi, per guidare una macchina siamo tenuti a prendere una patente, la quale certifica diritti e doveri, valori e limiti della nostra libertà, per i cellulari invece questo percorso ad oggi non c’è.
E se non lo fa la scuola, chi altri? Ovviamente, assieme alle famiglie.
Chi si preoccupa che, finita la scuola, gli stessi ragazzi per il resto della giornata si ritrovano in mano questi potenti strumenti, così assorbiti da non considerarli più strumenti, ma dei veri e propri prolungamenti del proprio corpo e della propria mente? Quasi tutti, tra l’altro, lasciati soli.
Non si risolve, dunque, un problema credendo di eliminarlo. Come se la febbre potesse scomparire facendo scomparire il termometro.
Ciò che conta, dentro e fuori dalla scuola, è l’educazione all’uso consapevole.
E nella logica dell’uso pensato e pensante ci possono stare anche l’educazione non più all’immediatezza, alla velocità, ma al gusto della lentezza, al dialogo guardandosi negli occhi, ad una socialità non chiusa, al pensare aperto.
Compresa la capacità di distinguere tra l’essenziale ed il rumore di fondo del nostro vivere.