Siamo in piena estate. Chi ancora al lavoro, chi già in vacanza.
Non per farmi i fatti degli altri, ma mi è capitato giorni fa, camminando sulla spiaggia, di volgere lo sguardo sulle persone sotto gli ombrelloni.
“Come passano il tempo?”, la domanda spontanea e un po’ indiscreta. Pochi a leggere un libro, alcuni con dei periodici, altri a giocare, ma i più col cellulare.
In realtà, questo aggeggio è diventato il prolungamento del nostro corpo. Impossibile, cioè, non averlo con noi per qualsiasi cosa in qualsiasi momento.
Molti sono gli studi sui casi di dipendenza degli adolescenti, con casistiche anche per casi di ansia e panico, per gli effetti della iperconnessione. Ha fatto notizia il caso della crisi di astinenza di un ragazzino a Torino.
A scuola e in famiglia si discute animatamente su quale sia l’età giusta per regalare il cellulare ai ragazzi: undici, tredici, quindici? Il ministero dell’istruzione ha pensato di introdurre il divieto del cellulare in classe, cosa che in realtà fanno già tante scuole. Tanto da prevedere che i cellulari vengano consegnati all’inizio delle lezioni.
Cosa giusta, salvo poi scoprire, come mi è capitato, che alcuni ragazzi avevano in cartella un secondo cellulare.
Per questo motivo, ho cercato negli anni di proporre, prima di ogni decisione, un dialogo franco con i genitori e gli stessi studenti. Perché il tema diventi un argomento educativo, e non solo un provvedimento coercitivo. Con i soli “no” non si va molto lontano.
Del resto, mentre per guidare un’auto tutti dobbiamo prendere la patente, per l’uso dei cellulari non si prevede niente, sapendo i rischi che comportano.
E quale migliore aiuto le famiglie possono incontrare nelle scuole su questo aspetto, attraverso progetti ad hoc? Ma un dialogo è possibile solo se i genitori e tutti gli adulti ne sono consapevoli e vi collaborano.
Altrimenti è fiato sprecato. Come per il secondo cellulare dato di nascosto ai figli, o per comportamenti in casa del tutto contraddittori.
Perché il tema della dipendenza ci riguarda tutti, non solo gli adolescenti.
La società italiana di pediatria ha proposto di recente un test, per capire la dipendenza. Che proviamo ad sintetizzare, adattandolo agli adulti.
Una prima domanda: quanti controllano come prima cosa, appena svegli, il proprio cellulare? Quanti se lo tengono sul comodino, non silenziato? Quante sono le ore al giorno di utilizzo?
Andando più al sodo, per capire se siamo o meno dei dipendenti: si verificano durante la giornata dei cambi d’umore, ansietà, irritabilità, dopo qualche tempo senza il cellulare? Quanto resistiamo all’impulso di utilizzarlo?
Chi di noi adulti utilizza il cellulare in situazioni rischiose, come guidare l’auto?
Sarebbe importante darsi prima di tutto a noi stessi delle regole, per il cellulare ma anche per il tablet, per poi essere di buon esempio. Come durante i pasti, o quando si è tra amici o in famiglia.
Sui contenuti poi è importante dialogare con i figli, non solo sui tempi di utilizzo.
Anche per capire i possibili effetti negativi, come i mondi paralleli che possono moltiplicarsi attraverso le tecnologie. Ma anche a scuola o sul lavoro.
Sarebbe importante, sempre in modo garbato e rispettoso, stimolare relazioni de visu, cioè faccia a faccia, riguardo ai tanti social.
Mi colpiscono sempre le persone, giovani o grandi, che, mentre ci si parla, mandano messaggi ad altri. E’ un fenomeno chiamato “phubbing”. La parola nasce dalla fusione di “phone” (telefono) e “snubbing” (snobbare). E’ una forma preoccupante di esclusione sociale che crea disagio e malessere.
I genitori dovrebbero informarsi, anche durante le visite pediatriche, per verificare i tempi di frequenza dei propri figli dei social e video game, valutando se vi sia il rischio di cyberbullismo.
La dipendenza non è l’unico rischio. Per tutti, in primis per ragazzi e adolescenti. Tenerlo acceso mentre si dorme può portare un ragazzo a dormire meno, con casi anche di disturbo di comportamento. Pensiamo poi alla vista, al rischio di bruciore oculare.
A livello di apprendimento, pensiamo alle distrazioni, sia per il ragazzo che studia come per una persona che lavora. Senza dimenticare la sostanza, cioè l’incapacità, per l’universo delle informazioni, di individuare il limite tra il vero ed il falso, tra il buono e meno buono, tra il lecito ed il negativo.
Tra i rischi forse più banali, pensiamo a chi cammina per strada, e magari l’attraversa, ma sempre col telefonino in mano.
La Rete, ce lo diciamo spesso, è una grande scoperta, che è ricchezza ed opportunità per tutti. Ma richiede consapevolezza e prudenza. Per non esserne risucchiati. Verso mondi paralleli che non sappiamo poi dove ci conducono.
Resta una notazione non a margine. Uno dei valori che ci vengono regalati nella vita riguarda il tempo che ci è concesso: cerchiamo, mi permetto di suggerire, di non sprecarlo. Senza farci fagocitare da uno strumento che, appunto, è solo uno strumento. E non uno scopo nella vita. Serve cioè fin che serve, altrimenti ci schiavizza.
Il valore tempo dice poi altro, la libertà del nostro pensare, essere.
E la libertà è come l’aria. Te ne accorgi del suo valore solo quando ti viene tolta.