CULTURA

Dino Campana - Esseri Di-Versi

Andrea Marchioro
31 luglio 2025
CONDIVIDI:
Dino Campana - Esseri Di-Versi

Ebbero percorsi esistenziali travagliati in vita, maltrattati, incompresi, emarginati per poi essere idolatrati post - mortem. È il destino di alcuni scrittori ed anche poeti e poetesse rivalutati solo dopo il loro dolce, doloroso o liberatorio trapasso.

Alcuni, ma non tutti, citiamo Franz Kafka, Emily Bronte, Edgar Allan Poe, Fernando Pessoa a titolo esemplificativo.

Troppi anticipatori o troppo complesso il loro pensiero per essere compreso a pieno, se non dalle generazioni a venire e quanti ancora attendono una loro rilettura o consacrazione che probabilmente non vedrà mai il suo compimento?

C'è stato un Van Gogh italiano non solo nell’ambito pittorico (Cimabue), ma anche nella storia della poesia, si chiamava Dino Campana ed è di lui che parleremo questo mese.

Dobbiamo a lui il passaggio ad uno stile moderno, simbolista ed impressionistico di fare versi nei primi del ‘900, a lui in continua lotta tra il vecchio e il nuovo, tra la provocazione e la visione, in perenne conflitto tra sé stesso e l’ambiente circostante che lo respingeva continuamente, a lui, eroe dell’insofferenza e dell’irrequietudine tout court, alla ricerca di una collocazione nel mondo.

La vita fin da giovane gli regalò poche soddisfazioni, dapprima il rapporto turbolento con la madre che soffriva di mania deambulatoria, poi con l’interruzione degli studi ed i vari trasferimenti da Bologna, a Firenze e Genova. Trascorse gli anni dell’adolescenza e della maturità tra ricoveri coatti in manicomio (prassi dell’epoca per probabile forma di schizofrenia e psicosi), arresti e viaggi di esplorazione in Svizzera, Francia, Argentina, Belgio mantenendosi con lavori saltuari. Fu denominato per quel periodo anche “il poeta dei due mondi”.

All’Università di Bologna frequentò i circoli letterari legati ai goliardi, con i quali riuscì a stringere dei solidi rapporti d'amicizia, e ad appassionarsi per la prima volta alla letteratura. Fu proprio sui fogli pubblicati dai goliardi bolognesi (Il Papiro, 1912 e Il Goliardo, 1913) che uscirono le sue prime prove poetiche.

La poesia sembrava essere diventata in quel momento la sua unica direzione, direzione e scopo primario, un fuoco che ribolliva dentro e chiedeva di emergere con tutta la sua energia vitale.

Nel 1913 Campana si recò a Firenze per proporre alla casa editrice Lacerba la pubblicazione della sua prima opera intitolata “Il Giorno più Lungo”, ma non venne preso in considerazione e anzi, il canovaccio fu perduto e ritrovato solo sessant’anni dopo, nel 1971.

La perdita dell’unica copia esistente lo obbligò a riscrivere interamente il testo a memoria in contigue e intense notti febbrili, dando vita nello stesso anno a quello che è ritenuto, ancora oggi, il suo capolavoro apprezzato e studiato in tutti le latitudini e longitudini del globo: “i Canti Orfici”, titolo che fa riferimento alla figura mitologica di Orfeo, mitico cantore e poeta capace di ammaliare animali, uomini e dei con la sua arte.

Visse gli ultimi anni della sua vita nell’ospedale psichiatrico dii Scandicci (Firenze) dove fu internato dopo l’ennesima delusione amorosa dovuta alla travagliata storia con la scrittrice e poetessa Sibilla Aleramo, cui molti libri e film hanno tratto spunto.

«Mi lasci qua nelle mani dei cani senza una parola e sai quanto ti sarei grato. Altre parole non trovo. Non ho più lagrime. Perché togliermi anche l’illusione che una volta tu mi abbia amato è l’ultimo male che mi puoi fare.»

(Dino Campana a Sibilla Aleramo, Marradi, 27 settembre 1917)

Morì in ospedale, sembra per una forma di setticemia, causata dal ferimento con un filo spinato nella zona dello scroto, forse durante un tentativo di fuga, il 1º marzo 1932, pochi giorni prima di essere dimesso dal manicomio.

«Tutto va per il meglio nel peggiore dei mondi possibili...»

(Dino Campana, lettera dell'11 aprile 1930 a Bino Binazzi, spedita dal manicomio di Castelpulci)

In un Momento

In un momento

Sono sfiorite le rose

I petali caduti

Perché io non potevo dimenticare le rose

Le cercavamo insieme

Abbiamo trovato delle rose

Erano le sue rose erano le mie rose

Questo viaggio chiamavamo amore

Col nostro sangue e colle nostre lagrime facevamo le rose

Che brillavano un momento al sole del mattino

Le abbiamo sfiorite sotto il sole tra i rovi

Le rose che non erano le nostre rose

Le mie rose le sue rose

P. S. E così dimenticammo le rose.

Tratto da “I Canti Orfici” prima pubblicazione – auto prodotta nel 1914

Letture consigliate: L’Opera in Versi e in Prosa, 2024, Mondadori, Un viaggio chiamato amore. Lettere (1916 -18) 2015, Feltrinelli, I Canti Orfici, 2005, Einaudi


Sei appassionato di poesia e/o interessato a segnalare qualche autore o autrice?

A creare dei laboratori di poesia o ad organizzare dei reading o delle mini-sessioni tematiche a scopo divulgativo?

Per questo e molto altro non esitare a contattarmi al seguente indirizzo mail: [email protected]

Ti piacciono i nostri articoli? Iscriviti alle nostre migliori uscite.

Inserisci un'email valida

Siamo in continua evoluzione con il nostro Occhi Magazine; se hai domande o suggerimenti, non esitare a contattarci!

Seguici su Facebook, Linkedin, Instagram e Twitter.

Condividi:

L'autore

Manager, scrittore e formatore aziendale. Sei appassionato di poesia e/o interessato a segnalare qualche autore o autrice? A creare dei laboratori di poesia o ad organizzare dei reading o delle mini-sessioni tematiche a scopo divulgativo? Per questo e molto altro non esitare a contattarmi al seguente indirizzo mail: [email protected]