A Cadice, nella comunità autonoma dell’Andalusia, ho un caro amico di nome Silvano. Un rovigoto (ops, un rodigino) bello tosto dal cuore grande. È un emigrante veneto moderno. Uno dei tanti che si è stufato dell’Italia e che ha trovato fortuna altrove. Beh, un paio di mesi fa, nel pieno della mia vacanza estiva, l’ho rivisto, grande e grosso com’è, davanti al suo rinomato ristorante che, con un sorrisone, mi dice in spagnolo il corrispettivo del: “Areo qua... da dove saltito fora?”
Dopo un paio di pacche sulle spalle, inevitabilmente, mi fa la solita battuta sui miei studi.
“Perdi ancora tempo con tutte quelle tue robe sui Veneti?”
“Tu ci scherzi Silvano.” Gli ho risposto. “Il problema grosso è che la nostra storia non la si conosce mica tanto sai. Sembra che...”
“Mah...” Fa lui interrompendomi. “A me del passato non è che me ne frega più di tanto. Io conosco la storia di mio papà, magari de me nono, poi del prima non mi interessa.”
La sua risposta, lo ricordo benissimo, mi ha steso all’istante e mi ha intristito enormemente ma, quella volta, invece di polemizzare gli ho sorriso e ho cambiato subito discorso. Poi però due domeniche fa, mentre assieme alla morosa risalivo i canali della Brenta da Padova fino a Venezia, a bordo del famoso Burchiello... ci ho ripensato. Tra le mani avevo infatti un romanzo storico che, di pagina in pagina, mi stava interessando sempre di più: Le Paludi di Esperia di Valerio M. Manfredi, che citava indirettamente proprio le antiche origini dei Veneti.
A bordo della barca, quello che non avevo calcolato sono stati invece gli effetti pressoché immediati del dondolamento sulla mia ormai proverbiale narcolessia. E infatti non faccio a tempo a dire “Ah che beo de qua! Ah che beo de là!” che dopo neanche mezzora di navigazione sento le palpebre degli occhi calare con la pesantezza di una saracinesca arrugginita.
“Hei Zonta!” Mi sento chiamare dalla solita voce grossa. “Seto che anca mi a Cadice go un amigo de i me tempi. Se mi go fondà Padova 3.500 ani fa, a batexar Cadice xe sta nientemeno che Ercoe, queo famoso parchè fa’ e fadighe! AH AH AH!”
Mi giro di fianco e, al posto della mia bella morosa, ecco che mi ritrovo il mio solito spirito guida: Antenore, nobile guerriero troiano, mitologico progenitore dei Veneti, ecc. ecc.
“Eh Antenore... non vorrei dirtelo ma non lo sanno mica in tanti di te, sai. Anzi quando ti nomino quei pochi che ti conoscono ti prendono anche per il culo. Dicono con un bel tono snobbone che più di essere una figura mitologica inserita nell’Odissea di Omero (e citata da una mezza dozzina di autorevoli autori antichi) sei... sei una fantasia. Una favoletta insomma.”
“Asa perdar, beo! Pensito che de ebeti ghe ne sia soeo desso? A te ne posso far na lista de insemenii e bauchi che go conosuo in quasi quatro mienni.” Mi risponde ridendo mentre con lo sguardo va sul mio libro.
“Beo sto romanxo!” Mi fa Antenore. “Te se che parla anca de mi e dee me xenti no? De quando semo dovui scampar daa Cità de Troia e aa fine semo rivai nea pianura padana a incontrarse co e popoasion autoctone come quee de i Euganei e de i Celti.”
“Ma dai! Antenore.” Rispondo. “È una bella storia quella dei Veneti discendenti dei Troiani... ma le prove?”
“Eh Zonta caro. In italian ghe xe un detto che dixe che “No esiste pexo sordo de queo che nol voe star a scoltar.” Beh te digo mi che “No esiste pexo storico de queo che non ga senso de critica e ghe crede soeo in queo che i ghe conta... anca se e xe teorie superae da almanco un paro de secoi.”
“In che senso?”
“Quei che dixe che mi no so mai existio xe i stessi che fin 200 ani indrio i dixeva che a Cità de Troia xera na fantasia. Che l’Iliade de Omero xera soeo un bel libreto de favoe. O no?”
Mentre sto per rispondere ad Antenore un tipo con baffi e occhialini seduto sul sedile dietro al mio mi batte su una spalla. È l’archeologo dilettante più famoso di tutti i tempi: il tedesco Heinrich Schliemann.
“Ancha me detto mille folte che io ero stupito che cretefo in favole. Poi in 1873 Cità di Troia io poi trofata daffero! Io allora dopo andato da tutti i “confinti” profezzoroni di tuto mondo, io guartato in loro faccia e detto loro “Tiè gran bella stekka su tenti, ja?!
“Va bene!” Continuo. “Troia è esistita, ok! Ma da dire che i proto-genitori dei Veneti (e dei Romani) siano gli antichi profughi della Guerra di Ettore e Priamo contro Ulisse e Achille ce ne passa eh!”
“Beh! Te podaria contar che nea antichità i Romani e i Veneti, sempre aleai in tute e guere, xera anca i unici do popoi in Italia a parlar a stesa lengua. Ma se no te basta e te voi altre prove...” Mi guarda Antenore ridendo. “Eora te ghe da sercar drio... i cavai e l’azuro!”
“L’azzurro? Il colore azzurro?” Strabuzzo gli occhi incuriosito. “In che senso?”
“Cafalieri Troiani tuti festifano in azzuro. Azzurro è colore di Cità di Troia... e dei Veneti!” Mi fa il Schliemann. “Trofatto anche in vazi di ceramica antica! Azzurro colore nazionale troiano, mein Gott!”
“Varda su Google Zonta!” Continua Antenore ridendo. “E parfin... su el film Troy de Wolfgang Petersen de el 2004. Queo co Brad Pitt chel fa Achie. A aristocrasia troiana a xera sempre vestia de azuro. Coincidensa?”. “Ma dai!” dico io. “E allora? E cosa c’entrano i cavalli poi.”
“Digheo ti barba!” Fa Antenore a un omone in toga con un libro in mano apparso all’improvviso. È Plinio il Vecchio, il più grande geografo e naturalista dell’antichità romana!
“I Veneti, si sa da secoli e secoli che sono di origine troiana! Originari dell’Anatolia (odierna Turchia) erano famosissimi allevatori di cavalli e di mule. E pure ai miei tempi...” Mi fa il grande scrittore della Naturalis Historia. “...indovina di cosa erano famosi anche i Veneti stanziati ormai da secoli nella Venetia italica? Ma guarda un po’... anche loro proprio dei cavalli! Erano ricercatissimi per l’esercito e portati perfino per le Olimpiadi in Grecia!”
“Ma va?” Dico stupefatto. “Volete farmi credere che proprio i cavalli veneti di tremila anni fa partivano dalle Venezie e finivano alle Olimpiadi?”
“Anca massa! I vegneva imbarcai in tel l’antica Equilium, (la Città dei Cavalli): che gnanca a dirlo xera proprio el nome originario de Jesolo/Cavallino-Treporti.” Mi fa Antenore. “Ma no soeo ae Olimpiadi, caro da dio. Ma anca nee corse dee bighe in tel Circo Massimo a Roma! Una dee quatro scuderie se ciamava proprio a “Venetia factio” (la Squadra Veneta) e... prova a indovinar co che coeore coreva?”
“Se mi dici l’azzurro...” Dico perplesso. “Non ci credo!”
“Ma no soeo caro el me bocia” Continua Antenore. “Anca a bandiera dea Serenisima a xera originariamente azura. I a ga sostituia co el porpora e oro soeo parché l’azuro in tel ciel e mar xera fassie confonderla. E se te vardi ben xera azure anca e divise de l’esercito veneto fin a el 1797! Sempre coincidensa?”
“Ok!” Dico con un filo di voce. “Magari per la storia dei cavalli ci posso anche credere. Ma l’azzurro? Secondo me...”
“Dai te digo questa e pò scampo.” Mi fa Antenore mentre esce dal mio subconscio. “Prova a vardar come se traduxe in italian a parola latina Venetus e po continua a dirme che e xe tute coincidense.”
Quando il libro di Manfredi, scivolandomi tra le mani, cade a terra con un leggero tonfo, mi sveglio all’improvviso.
“Dai Zonta! Non è possibile che te dormi sempre!” Mi fa Erika raccogliendo il libro da terra. “Siamo alla Malcontenta... dai che scendiamo!”
Io le sorrido mentre, a Mira, davanti a una delle più famose ville della Riviera della Brenta, le schiocco un bacio sulle labbra. Poi prendo il cellulare dalla tasca dei jeans e immediatamente vado su www.dizionario-latino.com.
Resto senza parole quando leggo: Venetus (sostantivo latino maschile 2° decl.) = azzurro. Venetus (aggettivo latino di 1° classe) = azzurro. Venetus (aggettivo latino di 1° classe) = Veneto.
Con la mente ancora a metà strada tra realtà e sogno, appena entrato nel salone principale della villa, trovo alla mia destra, tra una serie di figure affrescate, l’immagine di un antico guerriero dal ricco cimiero blu.
“Scusi!” Dico rivolgendomi a una guida di passaggio. “Non è che quello lì dipinto potrebbe essere Antenore?”
La tipetta mi guarda un attimo e con uno sguardo da mi so tuto sorridendomi compiacente mi fa: “Antenore? Antenore è solo una leggenda!” E, mentre se ne va, continua in perfetto italiano con accento patavino. “Una favola per bambini.”
Fantasia, mito, leggenda... e chi se ne frega! Noi Veneti siamo uno dei pochissimi popoli al mondo ad avere persino un’origine mitologica e riusciamo a vergognarcene! Ma è possibile che non possiamo essere fieri proprio di niente della nostra Storia e della nostra Cultura?
“Bruta rospa!” Mi vien da pensare all’istante. “Speta speta che inventino la macchina del tempo e poi sì vedrai come anch’io, assieme al buon Heinrich Schliemann, un giorno magari arriverò da te per una sana, buona dose di teutonica... “grante stekka su tenti, ja?!””